Track List (total time 39.45):
1.The Musical box
2. For Absent Friends
3. The Return of the Giant Hogweed
4. Seven Stones
5. Harold the Barrel
6. Harlequin
7. The Fountain of Salmacis
Inutile citare l'amore dei Genesis per i giochi di parole: Le "nursery rhymes" sono le filastrocche per bambini.
Una leggenda legata a questo album narra che Steve Hackett e Phil Collins furono accettati nel gruppo (in sostituzione rispettivamente di Anthony Phillips e John Mayhew ) perché seppero portare immediatamente idee nuove che permisero di produrre un siffatto capolavoro. Quasi una sorta di "test d’ingresso” del tipo “vediamo cosa siete capaci di fare”… ed ecco il risultato!
Io non so se ciò sia vero, ma preferisco pensare che lo sia, perché il precedente album “Trespass”, sebbene fosse di buon livello, non riesce neanche a scalfire la creatività, l’innovazione e l’intensità di questo album. Forse il buon Phillips nulla poteva contro la tecnica mostruosa e la vena classico-barocca di Hackett e, allo stesso tempo, l’onesto Mayhew nulla poteva contro l’incredibile inventiva, la tecnica ed il drumming estremamente vario ed innovativo di Collins. O forse era destino che la crescita musicale del gruppo dovesse passare attraverso questi due nuovi musicisti.
Resta di fatto che “Nursery Cryme” è un gioiello dall’inizio alla fine, perfino in quelle songs apparentemente più leggere come For Absent Friends e Harlequin.
I testi, come anche per i precedenti lavori, sono estremamente fantasiosi e traggono ispirazione dalla mitologia greca, dai racconti fantastici in tipico stile inglese e da semplici squarci di vita quotidiana.
Per chi volesse darci una sbirciatina ecco un link che li riporta in lingua originale con la traduzione a fronte:
http://spazioinwind.libero.it/macman/musica/sim/nurserycryme.html
Per chi volesse darci una sbirciatina ecco un link che li riporta in lingua originale con la traduzione a fronte:
http://spazioinwind.libero.it/macman/musica/sim/nurserycryme.html
The Musical Box
Il brano narra, con tipico humor nero inglese, di una bimba che “con la mazza da crocquet rimuove con dolcezza la testa dal collo” del suo amico Henry, il quale ritorna, attraverso le note del suo carillon (The Musical Box, appunto), per incontrarla ancora.
Ma il suo fantasma, pur rimanendo bambino all’interno, cresce fisicamente di età e presto l’amicizia infantile si trasforma in desiderio fisico. La piccola Cynthia se la caverà per l’intervento del tutto involontario della sua bambinaia, che sentendo baccano nella stanza, entra e atterrita da ciò che vede scaglia istintivamente il carillon contro lo spirito di Henry, distruggendo entrambi.
L’intro musicale di chitarra è pervasa di nostalgica mestizia e mi ha sempre ispirato una sorta di triste rassegnazione. Mi sembra di avvertire la tristezza di Cynthia che, per colpa della sua sbadataggine, ha perso il suo migliore amico e vorrebbe poterlo rivedere ancora per chiedergli scusa e dirgli che gli vuole sinceramente bene. Quasi per distrarsi dai suoi pensieri, apre il suo carillon che le suona la filastrocca (nursery rhyme, appunto) “Old King Cole”…
A questo punto compare l’ectoplasma di Henry che le dice di non credere alle parole della nurse, che le ha raccontato di un regno divino oltre le nuvole (“and the nurse will tell you lies of a kingdom beyond the skies”), perché lui in realtà è intrappolato in una sorta di “zona fantasma” (“half-world”) dalla quale non può uscire proprio a causa del loro fortissimo desiderio di rimanere uniti.
Qui la musica cambia di intensità, e bastano i primi secondi per capire che dietro i tamburi c’è qualcuno di estremamente valido: l’uso dei piatti e dell’Hi-Hat è assolutamente fuori dall’ordinario, quei colpi incisivi che accompagnano la chitarra, in contrappunto alle tastiere, contribuiscono a far crescere il pathos fino a quello che ho sempre definito “l’urlo di Cynthia” (infatti immagino che la bimba, vedendo invecchiare velocemente il suo amichetto ne rimanga fortemente impressionata… voi non lo sareste?), che apre l’assolo di chitarra, il primo di Hackett in studio con i Genesis, intenso ed emotivo, legato in modo divino dalle tastiere di Banks e scandito con precisione da Rutherford e Collins.
Dopo… è Gabriel a farla da padrone, cantando con trasporto e sofferenza, quasi fosse lui stesso intrappolato nel carillon, impossibilitato a raggiungere l'oggetto del suo desiderio. Il secondo assolo di Hackett è di grande impatto come il primo, le note ruvide e rabbiose esplodono su un splendido tappeto di piano di Banks di incontenibile energia. Qui sento il pathos di Henry e il terrore di Cynthia che si mescolano nella stanza.
Il finale, con Peter che intona “I’ve been waiting here for so long…” è a dir poco struggente. Henry si rende conto che il suo desiderio nei confronti di Cynthia è mutato e le implora di avvicinarsi, toccarlo, unirsi a lui (“Why don’t you touch me, touch me, touch me NOW”). Il tutto è accompagnato dal drumming estremamente creativo di Phil, che invece di limitarsi a rullare semplicemente sui piatti dell’Hi-Hat semi-chiusi (come avrebbe fatto un qualsiasi batterista di medio valore) effettua dei break micidiali con la grancassa ed il rullante, per terminare con una rullata che anticipa la voce di Peter che urla con voce rotta dal dolore “You stand there with your fixed expression…”. Il finale, che sembra tratto da un’opera classica tanto è maestoso e solenne, lascia senza fiato e ritengo che possa dare il meglio di sé soltanto se ascoltato ad occhi chiusi o al buio e, inutile dirlo, in assoluto silenzio!
1 commento:
Adesso l'impaginazione è perfetta, si legge tutto il testo e non vi sono ombre, complimenti per la recensione, ma sono di parte, questo è l'album che mi sconvolge di più dei Genesis e vi sono particolarmente legato, come ben sai.
Paolo
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