venerdì 3 giugno 2011

Gli YES


















Gli Yes sono l'ultimo dei cinque reference group del progressive rock.
Insieme con King Crimson, Genesis, Pink Floyd e Gentle Giant costituiscono la base della piramide pentagonale su cui si poggiano tutti gli altri gruppi passati e presenti.
Il loro sound, caratterizzato dalla voce celestiale di Jon Anderson, imponenti interventi di tastiere (di Wakeman o Moraz), linee di basso (Chris Squire) fluide ma estremamente cadenziate, la chitarra di Howe (dotato di buona tecnica - autodidatta - e inventiva) e un drumming efficace e sempre molto caratteristico (che ci fosse Bruford o White dietro i tamburi), è forse addirittura più emulato di quello dei Genesis e dei Pink Floyd.

Nel lontano 1973 al Largo Celebrano a Napoli c'era la fantastica discoteca di Gianni Cesarini. Lì si andava per ascoltare musica e, qualora ti fosse gradita, potevi acquistarla. Il seminterrato era pieno di scaffali di LP e c'erano le salette di ascolto in legno e materiale fonoassorbente, dotate di cuffie di ottima qualità, dove ci si poteva accomodare per concentrarsi sull'ascolto.
Inutile dire che era la mia meta preferita e spesso vi trascorrevo qualche ora da solo o con i miei amici.
Un giorno ero in cerca di qualcosa di nuovo (mi accadeva sovente... la mia sete di musica era virtualmente inesauribile) e cercando fra gli scaffali rimasi affascinato da un album con una cover 'verde natura' ed all'interno un fantastico disegno...questo!




Chiesi all'addetto di farmene ascoltare un pò...






L'ambientazione iniziale, con tutto quel fruscio e quel rumore di acqua che scorre in sottofondo, quell'attacco improviso della lunga intro e le ritmiche articolate e pulsanti mi estasiarono a tal punto che mi immersi completamente e non riuscii a togliere la cuffia fino a quando il brano (e quindi la facciata A del LP) non fu terminato!

Se i King Crimson sono stati gli antesignani del progressive, certamente gli Yes sono stati tra i primi a plasmarne le caratteristiche che sono note a tutti noi: brani lunghi, tempi dispari, ampi spazio a barocchismi, cori polifonici, assoli di grande efficacia ed ottima fattura e vocalism accorato.
E nel primo loro brano che ascoltai c'era tutto questo, compreso il suono stupendo e maestoso dell'organo di una cattedrale inglese!
Non m'interessava ascoltare l'altra facciata... lo acquistai subito.

Quando eravamo ragazzi non avevamo la possibilità economica di acquistare tutta la musica che avremmo voluto (in realtà neanche ora, purtroppo!), pertanto io e due miei amici, Paolo e Alberto, ci dividevamo 'i compiti' per poi passarci le audiocassette con le copie dei dischi: io acquistavo Genesis e King Crimson, Paolo Pink Floyd e Gentle Giant e fu con una punta di incertezza che passai ad Alberto gli Yes.

Oggi le mie idee in proposito sono diverse: per quanto abbia un'ottima stima degli Yes, considero la loro discografia essenziale piuttosto ristretta in quanto, a mio modo di vedere sono, nonostante i molteplici cambiamenti di organico (o forse proprio per questo), un pò troppo ripetitivi e autocelebrativi.  In ogni caso un pò più delle altre bands!

Certamente Close to the Edge è considerato dai più (e anche da me) il loro lavoro migliore e c'è da crederci se il brano che segue alla suite di apertura è così coinvolgente...





Notate l'eccezionale pulizia della grancassa di Bruford, sempre più incline a sottrarre colpi piuttosto che moltiplicarli, ma non per questo meno presente e incisivo! E quella chitarra acustica che accompagna la splendida voce di Anderson fino all'attacco sublime e imperioso al minuto 3.30!
Che spazi immensi si aprono davanti a noi con i tappeti di tastiere di Wakeman!
Sembra di essere nel disegno di Roger Dean che vi ho mostrato in apertura...

La musica degli Yes mi ha sempre dato questa sensazione di spazi immensi, natura incontaminata, luoghi inesplorati.. sarà perchè ho subito l'inprinting con Close to the Edge, ma se provate ad ascoltare Relayer o Tales from Topographic Oceans la sensazione si rinnova!

In realtà la buona vena della band si era già manifestata nel precedente Fragile, dove per la prima volta compariva il regale (per via del vistosissimo mantello che indossava in scena... in realtà è una persona molto disponibile e gioviale) Rick Wakeman alle tastiere.
Rick aggiunse al sound della band quel tocco di classicismo, allora tanto presente nella musica rock (Si pensi agli Ekseption e a Emerson, Lake and Palmer), portandoselo dietro come bagaglio dalla precedente esperienza negli Strawbs.

Il brano che vi propongo di seguito, però, non ha niente di classicheggiante. E' un coacervo di emozioni: dall'intro nervosa e tecnicamente ineccepibile, ai diversi successivi momenti fino  al canto accorato di Anderson nel finale.




Fate attenzione, dopo l'intro, al crescendo sottolineato dall'incredibile drumming di Bill Bruford che si inerpica sulla linea di basso di Squire, con le tastiere grevi in sottofondo, che man mano crescono fino a quel rombo che crea un vuoto nello stomaco!
Poi c'è l'arpeggio dolce di Howe che accompagna il canto quasi sottovoce di Anderson.
Tutto il brano è un continuo cambio di ritmiche su una linea melodica invece continua e tendenzialmente uniforme.
Ma la parte più intensa è sicuramente il finale, quando il cantato sale di tonalità e la musica di intensità...
Sharp Distance! How can the wind with so many around me! I Feel lost in the City, yeah!
Il brano è molto bello, ben costruito nella struttura, mai troppo pomposo nè troppo accademico. E' un esempio mirabile di come si possa fare musica coniugando tecnica e feeling. E' uno di quelli che considero standard prog.






Non vi ho preparato apposta all'ascolto di questo splendido brano, perchè volevo che vi colpisse con la sua intensità emotiva, così come colpì me la prima volta che lo ascoltai.
Ascoltate la dolce nostalgia che permea tutto il brano, il canto accorato, quasi stremato dalla  sofferenza ("Ci tocchiamo come foglie"-che incredibile locuzione per rappresentare la tenerezza del contatto fra due amanti) e quella chitarra che pennella note su note, quel pianoforte così struggente e quel crescendo così violento nel suo splendore!
Quando, al minuto 5,18 il brano si apre, immenso, vi prego di percepire una pregevolezza... il basso e la batteria, in sincrono, battono solo due colpi per ogni battuta, come se fosse la pulsazione di un cuore! Io l'ho sempre 'sentito' in questo modo, e mi stringe un nodo in gola.

Volete sapere questo brano di cosa parla? Narra di un uomo che perde la sua donna per un male incurabile e ricorda quando condividevano i loro momenti di intimità, tenendosi per mano e danzando insieme. E desidera follemente che lei possa ancora vederlo plasmare la creta e toccarlo ancora "come una foglia".
Per una volta Anderson ha abbandonato il metafisico per scendere a livello terreno e l'ha fatto con una tale intensità da strappare la lacrima!

Indipendentemente dalle mie personalissime considerazioni, gli Yes hanno offerto moltissimi spunti alle bands che sono sorte negli ultimi anni. Molte, come gli Spock's Beard, sono cresciute con la loro musica e quella degli altri grandi del progressive e le loro influenze sono estremamente evidenti nei loro lavori, che talvolta presentano echi 'genesisiani' e talaltra 'yessiani'.
In virtù della natura un pò "pomposa" della musica degli Yes è più facile trovare loro epigoni tra i gruppi americani, mentre quelli inglesi, generalmente più intimisti, si avvicinano maggiormente ai Pink Floyd  e i Genesis.

Come al solito spero di avervi dato qualche spunto di riflessione, essere riuscito ad interessarvi e soprattutto avervi fatto ascoltare un pò di buona musica!

Alla prossima!


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Splendido! mi hai fatto venire i brividi!
Lorenzo.

Il Progpromoter ha detto...

Grazie Lorenzo!
Sono contento che abbia apprezzato!