sabato 1 ottobre 2011

I CAMEL - Prima Parte

Innanzi tutto bentrovati!
E' passato davvero troppo tempo dall'ultimo post e spero non vi siate dimenticati di me!

Le alterne vicende della mia esistenza mi hanno tenuto lontano da queste pagine creando un'involontaria aridità della mia vena descrittiva.
Spero di ritornare gradualmente ai miei standards abituali, ma questo dovrete dirmelo voi!


Durante una delle mie solite scorribande alla ricerca di qualcosa di nuovo, mi recai nel negozio di Cesarini a Napoli (era il 1977 ed allora era a Largo Celebrano) e chiesi al commesso, buon esperto di musica di tutti i tipi, se vi fosse qualcosa di nuovo da ascoltare.
Mi mise in mano un album con la cover che vedete qui a lato.
Con la ormai rinomata spocchia che contraddistingue i progger, ed ancora pervaso da quella inutile tendenza ad etichettare tutto, gli chiesi che genere suonavano.
"Un pò Genesis e un pò Pink Floyd" - mi disse per convincermi ad ascoltarlo. Mi conosceva e sapeva che occorreva darmi dei parametri di confronto di un qualche valore per me elevato. E non era poi così lontano dal vero!


E' strano come io abbia conosciuto i Camel con un brano il cui titolo in italiano significa 'prima luce'.


 


Con mia grande sorpresa mi accorsi che l'album era inciso dalla DECCA, che allora era famosa per l'equilibrio dinamico delle sue registrazioni, essendo inserita nel circuito della musica classica, e questo mi dispose positivamente.
Verificare che fra i musicisti ci fosse Mel Collins, stimatissimo fiatista dei King Crimson, mi diede un ulteriore motivo per mettermi comodo, indossare le cuffie e capirci qualcosa di più.

Fin dalle prime note mi sorprese il grande equilibrio della band: nessuno dei musicisti sembrava orientare il sound e lo stile di suonare i fraseggi con più strumenti, invece che con uno solo, mi affascinò.
Così come apprezzai immediatamente il drumming sofisticato e preciso di Andy Ward, perfetto esempio del batterista prog, che supporta tutto il brano e accenta ora su uno strumento e ora su un altro, ma con venature jazzy davvero piacevoli! 
Mi aspettavo che prima o poi ci fosse una parte cantata, ma fui ben contento di non rinvenirla.
E... sobbalzai letteralmente dalla sedia quando, dopo l'interludio, ascoltai la chitarra di Andy Latimer aprire (e poi arricchire) il solo di sax intenso e stilisticamente perfetto di Collins!
La sensazione positiva che provai è del tutto simile a quella che provo ancora oggi quando lo ascolto: è come se fluisse più aria nei miei polmoni, e più ossigeno al cervello! Potremmo definirla impropriamente "ampia soddisfazione"?

Soltanto con un successivo approfondimento scoprii che i Camel venivano fuori da quella che allora era chiamata 'Canterbury Scene', ed erano un'evoluzione più easy (intesa in senso NON  dispregiativo) di Hatfield and the North e National Health, band che avevano influenze più spiccatamente jazzrock. In particolare il bassista Richard Sinclair, che a partire da Rain Dances andò a sostituire Doug Ferguson, aveva militato nei primi citati e nei Caravan, altra band di spicco del filone, con sonorità più affini a quelle dei Camel.

Rain Dances è un album di enorme respiro, ricco di sfumature morbide e sofisticate, una miscela sapientemente dosata di elettronica, ritmiche complesse e splendidi solo di tutti gli strumenti. 
A mio modo di vedere rappresenta l'apice della maturità compositiva dei Camel, sebbene molti estimatori di questa band lo considerino l'inizio della decadenza.




In questo brano si possono ascoltare notevoli reminiscenze delle influenze jazzrock dei National Health e anche in questo caso gli interventi di chitarra e sassofono sono di estrema, elegante efficacia!

Effettivamente lo stile della band a partire da questo album subì una piccola trasformazione... come si evince dall'ascolto del brano che segue, tratto dal loro secondo album:





Qui il sound è un pò più duro e spigoloso, sebbene siano evidenti le caratteristiche principali della band: vocalism caldo, ritmiche ricercate e gran lavoro di chitarra e tastiere.

In realtà il cambiamento non fu immediato, ma progressivo, come si evince dal mirabile esempio seguente:





Bellissima intro, grande Latimer al flauto, splendido lavoro di Ward che supporta tutto il refrain con un drumming sempre ricco e ricercato. Lo splendido lavoro di chitarra, in 'Rhyader Goes to Town' genera una forte emozione, non trovate?
L'album era la trasposizione in musica di un libro di Paul Gallico intitolato appunto 'The Snow Goose'. Lo scrittore però impose che il titolo recasse la dicitura "Music inspired by" per problemi di copyright.


L'ingresso di Sinclair e la collaborazione di Collins (allora ancora inteso come sessionman, poi divenuto ospite fisso) non solo portarono i Camel a ridurre la lunghezza dei brani, ma completarono il processo di orientamento ad un sound con sonorità più morbide, ma sempre di grande intensità.





Bellissimo non è vero? Il brano parte intensissimo, con la chitarra che urla sulle tastiere e sul basso, il tutto supportato, come sempre meticolosamente, dalla batteria!
Osservate come è sempre tutto molto bilanciato, sebbene la chitarra sia pressoché dominante. Solo i grandi riescono a farlo!

Se Collins in questo brano si era riposato, nel successivo, del quale posso postarvi soltanto il riferimento del  link perchè non è permesso l'embedding, si esprime alla grandissima!

http://youtu.be/XmZlPAvaMwI

Il brano ha una struttura rimica piuttosto complessa: dopo l'intro parte un micidiale l9/8, termina con un 11/8 e l'intermezzo è un mix di altri tempi dispari (potrei aver contato male...)! Il tutto però fluisce all'ascolto  con grazia, energia e un feeling meraviglioso! Ribadisco... solo i grandi riescono a farlo!

Dopo il mediocre I Can See Your House From Here i Camel ripercorsero la strada del concept con Nude





Sebbene, secondo la mia opinione, non all'altezza di The Snow Goose e degli altri lavori del periodo d'oro, forse anche per la defezione del tastierista Peter Bardens (scomparso prematuramente nel 2002 per un tumore al cervello), l'album ha degli ottimi momenti, e vide il ritorno (seppure solo per questo album) di Ward dietro ai tamburi, dopo l'incidente che gli aveva leso i tendini di una mano. Successivamente il batterista, a causa di gravi problemi mentali, dovette abbandonare nuovamente il gruppo.

Nel frattempo pare che incominciassero beghe con la casa discografica, che esigeva una maggiore presenza sul mercato ed obbligava Latimer e compagni a pubblicare lavori di cui non erano convinti o soddisfatti.
Dopo alcune uscite decisamente discutibili (fatta eccezione per Stationary Traveller che aveva qualche buon momento) i Camel scomparvero definitivamente dalla scena e Latimer si trasferì in California per ritrovare tranquillità ed ispirazione. Vi riuscì?
Beh... di questo parlerò la prossima volta!

Per ora, se vi ha fatto piacere il mio ritorno, datemi un cenno!

Per la seconda parte di questo argomento:

http://proglessons.blogspot.it/2012/05/i-camel-seconda-parte.html

La "Gong Dinasty" - part 2





Rieccoci a parlare dei Gong, o per meglio dire, del repentino passaggio dalla band anticonformista, fuori degli schemi e per certi versi un pò pazzoide di Allen a quella più inquadrata, conformista e moderata di Moerlen.

Come spesso accade in campo artistico, quando un'opera assorbe tutte le energie del suo creatore, quest'ultimo ne viene fuori come prosciugato, annichilito e incapace di riproporre qualcosa di altrettanto valido.
Questo è quello che dev'essere successo ai Gong di Daevid Allen all'indomani dell'uscita di You.
Il lack of creativity successivo alla trilogia Planete Gong portò la band a disgregarsi a causa delle differenze di vedute su come proseguire il cammino, anche a fronte della  mancanza di ispirazione.

A questo punto Pierre Moerlen (mi domando perchè siano quasi sempre i batteristi a prendere le redini in mano: vedi Phil Collins, Nick D'Virgilio, Neal Peart, Mike Portnoy, etc.) orientò i residui componenti della band (fuoriusciti ormai Allen, Hillage, Smyth e Blake) verso un gruppo prevalentemente strumentale, più fusion oriented dove le percussioni armoniche (vibrafono, marimba, xilofono e glockenspiel) erano dominanti, ma vi era ancora ampio spazio per i fiati di Malherbe e la chitarra di un mito della scena mondiale: Allan Holdsworth.






Ecco un esempio di cosa intendevo per percussioni armoniche dominanti!
In tutto il brano, come tessuto connettivo dei singoli assoli, vi è uno scrosciare di note prodotte da vibrafono, marimba e glockenspiel che si rincorrono e contrappuntano creando un'ambientazione quasi mistica!

In Shamal oltre ai brani di innegabile ispirazione fusion vi sono anche perle dal sapore magico ed evocativo come la seguente.





Come avrete avuto modo di ascoltare, anche in questo caso gli idiofoni costituiscono tutto il tappeto armonico che in altri casi viene suonato dal pianoforte, dando un incredibile sensazione magica, orientale ed allo stesso tempo calda e avvolgente.

In questo i Pierre Moerlen's Gong, come si chiamarono successivamente, furono innovativi e sorprendenti.

Ascoltate il brano di apertura di Gazeuse! quanto è energico, con Holdsworth in evidenza supportato dalla moltitudine di percussioni ritmiche (che congas!) e armoniche.





L'assolo di chitarra che parte al minuto 1.10 è splendido nella sua interezza, così come gli interventi di sax di Malherbe e le splendide soluzioni ritmiche di Moerlen.

Purtroppo la vena creativa della band non si rivelò molto prolifica e i successivi lavori non furono sempre all'altezza del valore dei musicisti che la componevano, tutti molto dotati tecnicamente, ma probabilmente limitati artisticamente dalla leadership di Moerlen.

Nell'album Downwind Moerlen chiese l'intervento di un altro grande nome della musica mondiale.
La collaborazione con Mike Oldfield portò ad un album più prog oriented la cui perla di maggior splendore è la title track.




E' impossibile non far caso alle affinità con il mitico Tubular Bells, specie nella parte centrale a partire dal minuto 1,40 dove, sebbene ancora una volta siano le percussioni armoniche a farla da padrone con quegli arpeggi intrecciati tanto cari alla band, la chitarra di Oldfield conferisce allo sviluppo del brano un'apertura aulica, solenne e contemporaneamente malinconica.
Ma ancora una volta è Moerlen a riprendere alla grande il tema del brano con interventi percussivi di estrema efficacia, ancora una volta puliti, precisi, dinamici e mai eccessivi.
Batteristi con questa sensibilità, ribadisco ancora, si contano sulla punta delle dita!
Nel finale prestate attenzione ai pregevoli  interventi di sax dell'inossidabile Malherbe.

Vi lascio con quello che, a mio modo di vedere, è il brano che maggiormente rappresenta questa band di struttura così atipica, di grande sensibilità, seppure di genialità di molte volte inferiore ai Gong originari.

Ascoltate attentamente, e per intero, questo brano perchè è un insieme di fasi di eccezionale efficacia e bellezza.



L'inizio soft e malinconico, si protrae fino al break con cadenza rock, per dare spazio alla soffice ed eterea distesa di note sulle percussioni armoniche che porta al break nervoso, con quella fuga fra marimba, vibrafono e glockenspiel.... che splendida realizzazione di una fantastica idea!

Il successivo attacco di batteria di Moerlen strappa l'emozione, tanto è preciso ed efficace!
E tutto il brano si dipana su un lavoro incredibile di percussioni e batteria, con le percussioni armoniche sempre in fuga, in incastro continuo fra loro!
Splendido e coinvolgente, non è vero?

Ma ciò che sorprende maggiormente è l'assolo di batteria
Ormai mi conoscete... non sono molto amante degli assoli di batteria (pur essendo io stesso un batterista amatoriale), specie quelli orientati a 'guardate cosa so fare', impostati sulla velocità e sugli inutili tecnicismi.
Questo è l'assolo più 'armonico' che abbia mai sentito!
Se lo ascoltate attentamente comprenderete che tecnicamente è tutt'altro che semplice, con quelle continue variazioni di dinamica, gli accenti e tutto il resto.
Ma osservate come non si perda mai la sensazione del tema del brano in tutta la sua esecuzione! 
Mi dà un pò noia dirlo (perchè va ad alimentare la ben nota spocchia dei musicisti jazz), ma soltanto i batteristi jazz sviluppano questa peculiarità, perchè in genere i loro assoli non sono orientati ad ostentare tecnica e velocità, ma sono parte integrante del brano stesso (a tale scopo potreste ascoltare 'Take Five' di Dave Brubeck per comprendere appieno ciò che intendo dire)!
Qui Moerlen dimostra di aver compreso come utilizzare gli studi jazz in questo genere musicale!

A mio modo di vedere questo è l'unico modo in cui possa presenziare un assolo di batteria in un brano.
Gli altri sono esercizi di tecnica fini a se stessi, avulsi dal contesto del brano e quindi inutili dal punto di vista creativo/emotivo.

Alla prossima!